Un segnale che non possiamo ignorare

Un segnale che non possiamo ignorare

C’è un rumore che resta anche quando tutto tace: quello di un’esplosione che non distrugge soltanto un’auto, ma la sensazione — fragile — di vivere in un Paese dove la parola è ancora protetta.
L’attacco contro Sigfrido Ranucci non è un semplice episodio di cronaca. È un simbolo. È un avvertimento.
È il ritorno improvviso di qualcosa che pensavamo sepolto, e che invece continua a covare sotto la superficie: la paura di chi parla, la rabbia di chi non vuole sentire.

Viviamo un tempo in cui la democrazia si misura non più nel diritto di voto, ma nel diritto di dire, di raccontare, di investigare.
E quando qualcuno sceglie la violenza per far tacere un giornalista, non colpisce solo una persona — colpisce la possibilità stessa di una discussione pubblica libera.
È come se, ogni volta, venisse messo un punto dove servirebbe ancora una virgola.

L’Italia ha conosciuto stagioni in cui le bombe erano strumenti di silenzio, non di rumore.
Stagioni che credevamo chiuse, archiviate nei libri di storia e nei documentari.
E invece eccole, riaffacciarsi con nuove forme, nuove mani, ma la stessa logica antica: intimidire chi indaga, scoraggiare chi racconta.
È il segnale più preoccupante che potesse arrivare in un clima già intossicato, dove la parola “nemico” è tornata a sostituire “avversario”.

Il problema non è solo l’ordigno, ma ciò che lo precede: il linguaggio dell’odio, la delegittimazione quotidiana, la polarizzazione che divide tutto in bianco o nero.
Un Paese che si abitua a odiare, prima o poi, finisce per colpire.
E quando il conflitto verbale diventa fisico, non si tratta più di politica o opinioni — ma di una scissione sociale vera e profonda.

Serve una reazione collettiva.
Non di solidarietà formale, ma di memoria attiva.
Perché la libertà di chi indaga è la garanzia di tutti: anche di chi non è d’accordo, anche di chi non guarda Report, anche di chi pensa diversamente.
Difendere il diritto di parola di chi denuncia non è un gesto di simpatia — è un atto di sopravvivenza democratica.

Questa non è una notizia da archiviare.
È una linea che si sposta.
E se non siamo capaci di accorgercene, domani potrebbe essere troppo tardi.