Italia-Cina, ritorno di fiamma pragmatico: cosa significa davvero la visita di Wang Yi a Roma

Italia-Cina, ritorno di fiamma pragmatico: cosa significa davvero la visita di Wang Yi a Roma

La due-giorni romana di Wang Yi, ministro degli Esteri cinese, ha riacceso i riflettori sull’asse Italia-Cina. Tra l’8 e il 9 ottobre il capo della diplomazia di Pechino ha incontrato il presidente Sergio Mattarella e ha co-presieduto con Antonio Tajani la XII sessione del Comitato intergovernativo Italia-Cina a Villa Madama. Dietro il linguaggio diplomatico si legge un messaggio chiaro: per Pechino l’Italia resta una porta d’ingresso qualificata nell’Unione Europea, mentre per Roma la Cina è un interlocutore economico imprescindibile da gestire però entro la cornice comunitaria del de-risking, non del decoupling.

Le note ufficiali parlano di cooperazione in campi come manifattura avanzata, farmaceutico, lusso, agroalimentare, turismo e cultura. In pratica si cerca di trasformare la relazione commerciale in una catena di progetti con ritorni concreti per le filiere italiane. La cornice europea rimane determinante: l’Italia si muove nella linea tracciata da Bruxelles, che punta a tutelare gli asset strategici, a controllare gli investimenti e a ridurre le dipendenze critiche in settori chiave come materie prime e tecnologie avanzate.

Nel breve termine ci si attende la firma di nuovi accordi industriali e culturali, il rilancio della diplomazia culturale come strumento di soft-power e una maggiore presenza di turismo cinese a valore aggiunto, legato a moda, arte e distretti produttivi. Tuttavia la traiettoria dipenderà da tre variabili decisive: la politica tariffaria di Washington e Bruxelles, la risposta cinese su sussidi e sovraccapacità nei comparti strategici e la reale apertura del mercato di Pechino alle imprese europee.

In un contesto globale sempre più competitivo, la visita di Wang Yi segna un test di cooperazione “a isole”: progetti mirati e governance attenta al rischio per mantenere vivi i flussi economici dentro un quadro politico rigido. Più che un gesto simbolico, si tratta di un segnale operativo che misura la capacità dell’Italia di muoversi con pragmatismo tra atlantismo e realismo economico.