I veri effetti della guerra russo-ucraina sull’Italia

La guerra tra Russia e Ucraina ha rappresentato uno shock sistemico per l’Europa, ma per l’Italia in particolare ha avuto effetti profondi e trasversali, ben oltre la sfera diplomatica. L’impatto si è esteso al cuore del modello economico nazionale, alla struttura industriale, alla stabilità dei conti pubblici e alla tenuta sociale del Paese. A oltre due anni dall’invasione russa, l’Italia si ritrova in un equilibrio nuovo, più fragile e insieme più consapevole, dove le dinamiche geopolitiche sono diventate parte integrante della quotidianità economica.
Il primo effetto, e forse il più tangibile, è stato quello energetico. Prima del conflitto la Russia copriva circa il quaranta per cento delle importazioni di gas italiane. Con l’interruzione dei flussi e le sanzioni, Roma ha dovuto ristrutturare in tempi record la propria strategia energetica. In meno di due anni l’Italia ha dimezzato la dipendenza da Mosca, attivando nuovi contratti con Algeria, Azerbaigian e Qatar e accelerando sul fronte delle rinnovabili. Questo processo ha rafforzato l’indipendenza geopolitica ma ha avuto un costo economico altissimo: le bollette energetiche per le famiglie sono cresciute del 108 per cento sull’elettricità e del 57 per cento sul gas nel 2022, mentre le imprese, in particolare quelle energivore, hanno visto crollare i margini di profitto. Per contenere i danni, lo Stato ha dovuto mobilitare risorse imponenti: circa 63 miliardi di euro in due anni solo per compensare i rincari, un impegno straordinario che ha inciso sui bilanci pubblici.
L’impatto non si è fermato ai costi dell’energia. L’Italia ha subito anche la perdita di mercati commerciali strategici. Prima della guerra, l’export verso Russia e Ucraina valeva circa 7 miliardi di euro all’anno, mentre le importazioni si aggiravano intorno ai 12 miliardi. Con le sanzioni e il collasso delle relazioni economiche dirette, molte imprese italiane hanno perso clienti e fornitori, in particolare nei settori della meccanica, della moda e dell’agroalimentare. Secondo alcune stime, il nostro Paese ha registrato fino a 16 miliardi di esportazioni mancate rispetto ai livelli potenziali, e la ridefinizione delle catene di fornitura ha comportato costi ulteriori.
Questo shock commerciale ha avuto un effetto domino sulla crescita generale. Le economie europee più industriali, come la Germania, hanno subito la crisi energetica e la perdita dei mercati orientali, e la loro contrazione ha trascinato anche l’Italia. Il risultato è stato un rallentamento strutturale della domanda, con un incremento della vulnerabilità delle piccole e medie imprese italiane. In parallelo, l’inflazione ha raggiunto livelli che non si vedevano da quarant’anni: circa il nove per cento nel 2022, ridottosi al sei nel 2023 ma con effetti permanenti sul potere d’acquisto. La Banca d’Italia ha stimato che oltre i due terzi dell’aumento dei prezzi derivano dai costi energetici. Ciò ha provocato una riduzione dei redditi reali e un aumento delle disuguaglianze, perché i rincari colpiscono più duramente chi spende una quota maggiore del proprio reddito in energia e beni essenziali.
La crisi ucraina ha quindi agito come amplificatore delle fragilità preesistenti. La pressione fiscale è aumentata, il debito pubblico è rimasto su livelli record e lo spazio di manovra del governo si è ristretto. Ogni misura di sostegno – dai bonus bolletta agli aiuti per le imprese – ha un costo che si traduce in maggior debito o in minori risorse per altri investimenti. Secondo Assolombarda, la guerra avrebbe sottratto tra 1,2 e 2,2 punti percentuali di PIL al trend previsto per il 2022, una perdita che pesa ancora oggi sul potenziale di crescita.
Eppure, in mezzo alla crisi, la guerra ha prodotto anche una reazione di adattamento e in parte di maturazione strategica. L’Italia, come l’Europa nel suo complesso, ha compreso che la sicurezza energetica e industriale non può più essere data per scontata. Il piano europeo REPowerEU, varato nel 2022 per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili russi, ha accelerato la transizione verde e spinto investimenti in infrastrutture, rigassificatori, energie rinnovabili e reti elettriche. Molte imprese italiane stanno riconfigurando la produzione, puntando su filiere più corte e su un maggior controllo degli approvvigionamenti. È un cambiamento silenzioso ma profondo, che riscrive le mappe della globalizzazione industriale.
La guerra russo-ucraina ha avuto infine un effetto simbolico e politico: ha riportato la geopolitica dentro la quotidianità del dibattito economico italiano. Termini come “autonomia strategica”, “sovranità energetica” e “diversificazione delle fonti” sono diventati parole comuni, anche nel linguaggio delle imprese. In questo senso, la crisi ha spinto l’Italia a riscoprire il valore della pianificazione e della coerenza di lungo periodo.
Tuttavia, la transizione non è priva di rischi. Il sistema produttivo rimane fragile, i costi energetici sono ancora superiori alla media europea e il differenziale di competitività con la Germania o la Francia non si è chiuso. La sfida, oggi, è trasformare la risposta emergenziale in una strategia strutturale. L’Italia ha bisogno di capitali, innovazione e competenze per non uscire più debole da una crisi che ha già riscritto gli equilibri globali.
La guerra russo-ucraina non è solo un conflitto militare alle porte dell’Europa: è una frattura geopolitica che ridefinisce la logica economica del continente. Per l’Italia, il suo vero effetto non è stato soltanto la perdita di gas o di export, ma la fine di un’illusione: quella di poter vivere ai margini della storia globale. Oggi il Paese è costretto a pensarsi dentro le dinamiche del potere, dell’energia e della sicurezza. Ed è forse questa, nel lungo periodo, la trasformazione più profonda e irreversibile.