Bankitalia taglia la crescita 2026 allo 0,7 per cento: dazi USA ed euro forte pesano sull’export

La Banca d’Italia ha rivisto al ribasso la previsione di crescita per il 2026, portandola dallo 0,9 allo 0,7 per cento. Secondo il bollettino economico diffuso il 17 ottobre, le nuove tariffe statunitensi sui prodotti europei e il rafforzamento dell’euro hanno iniziato a incidere sulla competitività delle esportazioni italiane. Per il 2025 e il 2027 le stime restano ferme rispettivamente allo 0,5 e allo 0,7 per cento, con una debole ripresa attesa solo nella seconda metà del 2025 dopo la lieve contrazione del trimestre precedente.
La frenata deriva in gran parte dall’accordo commerciale USA-UE di luglio, che ha introdotto un dazio medio del 15 per cento su numerose categorie di beni europei. La minore domanda americana colpisce soprattutto la meccanica, l’automotive e i beni intermedi, settori a forte vocazione export. L’apprezzamento dell’euro rispetto al dollaro riduce ulteriormente i margini, perché comprime il valore delle vendite in valuta statunitense.
Bankitalia sottolinea che il rallentamento è aggravato da un contesto internazionale incerto e da un clima di investimenti privati ancora prudente. A livello interno, la crescita modesta riflette la debole produttività e la lentezza con cui vengono attuati i progetti del PNRR.
Per contrastare l’impatto negativo delle tariffe e del cambio, l’istituto suggerisce di agire su tre fronti: migliorare l’efficienza energetica e logistica per ridurre i costi di produzione, diversificare i mercati di sbocco privilegiando area ASEAN, GCC e Africa orientale e potenziare gli strumenti di finanza per l’export come garanzie e crediti agevolati.
La revisione non segna una crisi imminente ma un chiaro segnale d’allarme. L’Italia entra in una fase di crescita bassa condizionata da fattori esterni sui quali ha poca leva diretta. La risposta dovrà essere insieme macro e micro: maggiore produttività nei distretti, diplomazia economica per aprire nuovi mercati, continuità nell’attuazione del PNRR e una politica fiscale che non penalizzi gli investimenti privati.